30 June 2006

Una ricognizione dello stato dell'arte

AVANGUARDIA ITALIANA
Esperienze a confronto della generazione emergente del design italiano. Un prologo


L’Italia è stata storicamente considerata - assieme a paesi come Svezia e Danimarca, Germania e Inghilterra - come il paese del design: Ovvero il paese in cui le merci, il sistema produttivo, le competenze, le imprese, le professionalità e anche la vita quotidiana, parlavano il linguaggio del design.Una storica relazione che vedeva collegate, in un tutt’uno, la tradizione dell’arte decorativa, l’architettura, la presenza di capacità produttive artigianali e imprenditoriali nei settori dei beni per la casa e per la persona (l’arredamento, la moda...) diffuse nei differenti sistemi produttivi locali specializzati - in una felice relazione tra il fare industriale e il pensare progettuale.Qui si è sviluppato quello che definiamo, alla luce di un’interpretazione recente, come un sistema del design[1]. Fatto di professionisti, imprese, eventi, istituzioni, riviste, fiere, scuole.C’è stata una generazione di progettisti che ha caratterizzato il periodo eroico del design italiano a partire dagli cinquanta e che si è poi la consolidata come la generazione storica dei maestri del design italiano[2].Questa generazione è stata consacrata da una presenza costante sulla scena nazionale e internazionale in termini di prodotti, di critica, di visibilità.Attraverso la crescita di queste individualità, il design italiano, inteso come fenomeno nazionale caratteristico, si è rappresentato e consolidatoQuesti individui sono assurti al rango di esempi: maestri dal fare, maestri del pensare. Ma, nel corso degli anni, progressivamente, quest’Olimpo di Dei del Progetto si è ridotto. Flebilmente l’agorà del design si è andata via via spopolando.Non sono arrivati i giovani eroi. I giovani semidei. Non è ancora arrivata, non si è affermata una nuova generazione di progettisti. O forse no? Dopo le innumerevoli iniziative di ricerca storiografica caratterizzate dal tentativo di costruire una cronologia e raccontare i personaggi dell’età dell’oro del design italiano, abbiamo assistito a un sostanziale vuoto narrativo.Questo vuoto definisce un compito che si pone a partire da questo numero: presentare in maniera storiograficamente integrata, per la prima volta[3], l’insieme dei protagonisti del (ormai non sempre…) giovane design nazionale. Come ci accosteremo a questo compito? Se usassimo una metafora cinematografica, ma anche esperienziale, potremmo dire che useremo un taglio narrativo alla Robert Aldrich.Come lui ci chiederemo Che fine ha fatto Baby Jane?Che fine fanno i giovani e meno giovani designer italiani? Quale storia li accompagna? Esiste un finale rivelatore?Attiveremo un’inchiesta che ci faccia scoprire i profili, le storie personali e le esperienze del giovane design italiano di questi ultimi dieci anni.Sarà un tentativo di rappresentare quella che vorrei definire, tra il serio e il faceto, avanguardia italiana.Avanguardia che non si connota in senso classico come idea di superamento di ismi, stili, pensieri. Dal mio punto di vista essa si caratterizza come una visione alla Buzzati: se guardiamo dalla Fortezza, le persone che racconteremo sono quelle che alla fine sono... semplicemente arrivate.Certamente non nel senso contemporaneo e un po’ grandefratellesco dell’apparire, dell’essere mediaticamente riconosciuti (anche se alcuni di loro lo sono, ormai). Non c’è stato infatti, in questo caso, lo sfondamento; non c’è stata l’entrata in scena della nuova schiera. Solo alcuni successi sporadici.E noi vorremmo capire l’incapacità, almeno in questo momento (e fatta eccezione per alcune individualità e situazioni) di rappresentarsi anche all’esterno del Sistema Italia. Di assurgere con carisma e glamour all’interno dei circuiti della notorietà e del pieno apprezzamento internazionale.Vorremmo capire cosa sta succedendo e, se possibile, il come e il perchè di quanto sta avvenendo. Cercheremo di costruire un primo racconto non sistematico e un primo commento critico su una serie di individualità che hanno avuto tratti comuni, scambiato esperienze, condiviso visioni e modi del progetto.Vorremmo realizzare, insomma, una sorta di primo censimento, un repertorio sintetico di situazioni individuali per iniziare un’esplorazione critica e storica più approfondita su quella che potremmo definire come la nuova generazione. L’obiettivo rimane quello di far emergere la straordinaria capacità del design italiano di esser ancora una volta avanti.Nel senso di poter affiancare, in maniera rinnovata e anticipatrice, la capacità di gestire il prodotto alla capacità di impegnare la mente nella costruzione di nuove visioni e sensibilità.Questa attitudine ha forse trovato il suo limite nella scarsa capacità di comunicare e nella relativa sordità di alcuni soggetti istituzionali e d’impresa del sistema design che non hanno saputo vedere in questi giovani protagonisti una risorsa, un patrimonio nazionale di creatività e intelligenza da tutelare. Questi i giovani che proveremo a raccontare: Azzimonti, Becchelli, Bortolani, Contin, Cos, Damiani, Fioravanti, Gumdesign, Iacchetti, Joe Velluto Design, Marelli, Mirri, Nichetto, Paruccini, Pezzini, Ragni, Ulian, Varetto, Zito e ancora 99IC, Busana, Maggio, Studio X, Nigro, Deep Design, Graffeo... e tanti altri


[1] Si vedano: Bertola P., Sangiorgi D., Simonelli G.(a cura di), Milano distretto del design, Edizioni Il Sole 24 Ore, 2002; Stefano Maffei, Giuliano Simonelli (a cura di), Territori del design. Made in Italy e sistemi produttivi locali, Edizioni Il Sole 24 Ore, 2002; Francesco Zurlo, Raffaella Cagliano, Giuliano Simonelli, Roberto Verganti (a cura di), Innovare con il design, Edizioni Il Sole 24 Ore, 2002
[2] Stiamo parlando di figure quali Achille Castiglioni, Joe Colombo, Bruno Munari, Gio Ponti, Marcello Nizzoli, Franco Albini, Marco Zanuso, Vico Magistretti, Ettore Sottsass, Enzo Mari, Andrea Branzi, Aldo Rossi, Alessandro Mendini, Gaetano Pesce, dei grandi designer automobilistici come Giacosa, Pininfarina, Bertone, Giugiaro, per arrivare a Michele De Lucchi, Alberto Meda, Denis Santachiara, Antonio Citterio.
[3] Anche se, in realtà, sono esistite ricerche personali in tal senso che hanno perlomeno illuminato non sistematicamente questo tema: si vedano in questo senso i percorsi di racconto e documentazione di alcuni gironalisti come Marco Romanelli, Virginio Briatore, Beppe Finessi, Cristina Morozzi

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