29 June 2006

Una dichiarazione di poetica


The Clash, copertina LP "London calling", 1979, CBS Records_foto di Penny Smith

Passages.
Del design, della critica, del situazionismo, della controcultura.


Please could you stop the noise, I'm trying to get some rest
From all the unborn chicken voices in my head
What's that?
What's that?
When I am king you will be first against the wall
With your opinion which is of no consequence at all
What's that?
What's that?
Ambition makes you look pretty ugly
Kicking and squealing gucci little piggy
You don't remember
You don't remember
Why don't you remember my name?
Off with his head, man
Off with his head, man
Why don't you remember my name?
I guess he does
Rain down
Rain down
Come on rain down
On me
From a great height
From a great height
Height
Height
That's it sir (Rain down)
You're leaving
The crackle of pig skin (Rain down)
The dust and the screaming (Come on rain down on me)
The yuppies networking
The panic, the vomit (from a great height)
The panic, the vomit (from a great height)
God loves his children
God loves his children, yeah
(Radiohead, Paranoid Android, in “Ok computer”, 1997, Capitol Records)


Dobbiamo scordarci gli anni Ottanta. E anche degli anni Novanta. La Thatcher e Berlusconi. Il secondo millennio appena cominciato avanza.
Una rivista inizia a parlare di design.
L’ennesima.
Dentro al mare magnum della produzione di informazioni che genera, come direbbe Don De Lillo, un rumore bianco.
La mancanza di un pensiero (e del famoso dibattito…) che aiuti a discutere, orientarsi, a scegliere, a introdursi in mezzo al cumulo dei detriti pubblicistico/pubblicitari.
L’assenza di un orizzonte di senso interpretativo.
La necessità di pensare la rivista come un palcoscenico a là Benjamin: un cantiere di osservazione e di scrittura aperto.
L’idea di un work in progress che indaghi i tempi nuovi. Il primo secolo.
Andando a cercare le radici, i prodromi. Ciò che è stato e ciò che sarà.
Come Walter Benjamin tentando di ricostruire un senso, anche frammentario, dalla presentazione e giustapposizione di categorie fenomenologiche ed esistenziali.
Come Benjamin cercando di individuare e descrivere i nuovi Passages. Le nuove forme; intese nel senso dei nuovi luoghi, dei nuovi umani, delle nuove esperienze, delle nuove culture (im)materiali.

Propongo di utilizzare per questo uno sguardo critico neo-situazionista.
Critico, intendendo critico nel senso alto, ovvero uno sguardo libero che cerca di individuare rabdomanticamente il nuovo. E che, oltre a presentarlo, lo definiscano.
O forse, più prudentemente, che si prenda il compito di grattare via il make up, il fondotinta comunicativo di una realtà fatta ormai di simulacri.
Come Philiph Dick. Come l’androide paranoico dei Radiohead. Stanco di assistere alla deriva della società delle merci. Ma consapevole allo stesso tempo che ne è prigioniero. E che non può evadere. Niente fuga. Ma anche niente inganno.
Guardando il panorama degli artefatti, dei beni materiali l’affermazione che possiamo fare è paradossale: l’abbondanza li nasconde.
Essi non esistono più. O almeno non sono importanti nel senso della loro materialità, ma funzionano piuttosto come attivatori semantici, simbolici, comunicativi; snodi immateriali della nostra esperienza.
Sono soggetti antropologici prima che oggetti di studio. Dotati di una vita propria.
Agiscono in un mondo che vediamo con occhio situazionista, come visione radicale di un mondo derealizzato e pluralizzato di masse atomizzate che non hanno più grandi narrazioni in grado di salvarle.

Come dice il situazionismo, è impossibile sconfiggere l’irreale. Lo si può solo narrare. O cortocircuitare comunicativamente. Realizzare il degagement. Agire duchampianamente cercando di intravedere il backstage. Il lato nascosto.

Oppure si devono cercare i passaggi difficili, i lati inconsueti, la ricerca concettuale, l’originalità, la marginalità.
Cercando di rappresentare un punto di vista differente, alternativo attraverso un mix atipico di interviste, pezzi critici, profili di oggetti o progettisti, presentazione di eventi o mostre.
Caratterizzando il commento con un sano spirito punk.
Punk inteso in senso di controculturale, di scomodo, di non ossequioso e stereotipato. L’idea è quella di dar voce a tesi e personaggi scomodi, che dicono cose senza peli sulla lingua.
Vogliamo corroborare questo con la scoperta di luoghi di design alternativo e/o tacito che possono essere rintracciati in mille discipline: food, fotografia, letteratura, musica.
Vorremmo interessarci all’attuale. Non all’attualità.

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